Le componenti antropologiche dell’amoree dell’affettivita’ nella BibbiaPrima partedi sr Elena Bosetti
Il mondo greco conosce tre parole per parlar d’amore: erôs, philia, agapê designanti rispettivamente passione erotica, amicizia e dono di sé. Anche la Bibbia conosce questo triplice amore che coinvolge la persona nella sua totalità, a partire dalla categoria fondamentale della “carne” (sarx). Non solo “corpo” (sôma), “anima” (psychê) e spirito (pneuma), ma anzitutto proprio la “carne” (sarx). E quindi “viscere” (splanchna), “reni” (nephros), “cuore” (kardia), prima ancora che “mente/intelletto” (nous) e “coscienza” (syneidesis).
Mi sembra importante come momento introduttivo al discorso chiarire il codice semantico di base, vale a dire il lessico antropologico che incrocia le voci del desiderio e della passione, della ricerca e della esperienza amorosa. Lo farò attraverso qualche assaggio, a modo di rapida incursione in alcuni testi particolarmente rilevanti per il nostro tema (sono obbligata ovviamente a restringere il campo).
La breve chiarificazione semantica servirà da base al secondo momento che non si accontenta di descrivere le componenti antropologiche in astratto, ma vuole coglierne la personale messa in gioco. Osserveremo a grandi linee il percorso affettivo di Davide che tocca spesso le vette della generosità e del perdono, ma conosce anche i lati oscuri, i meandri della passione e l’abisso del peccato. Percorso comunque affascinante perché evidenzia un cuore umile e innamorato che piace a Dio.
Volgeremo quindi l’attenzione a Gesù Messia, figlio di Davide e di Maria (Mt 1,1-16). La natura e i limiti del presente intervento impongono la scelta di un approccio sintetico narrativo che procede per grandi affermazioni, di panoramica più che di scavo esegetico. Cercherò di offrire semplicemente alcuni stimoli e suggestioni per un ordo amoris nella prospettiva del Cantico dei Cantici, interpretato in modo eminente da Gesù, “il pastore bello” che depone la vita (psiche) per le sue pecore (Gv 10,11). Perché “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita (psiche) per i propri amici” (Gv 15,13).
IL CODICE SEMANTICO DI BASEMi pare che il discorso sulle componenti antropologiche dell’amore debba confrontarsi anzitutto con il duplice racconto della creazione, dove troviamo gli elementi imprescindibili dell’antropologia biblica: carne, spirito e parola.
A immagine di Dio, maschio e femminaNel primo racconto della Genesi l’uomo è creato direttamente dalla Parola di Dio, come tutte le altre creature. Risuona per l’ottava volta il ritornello: “E Dio disse” (wayyo’mer ’elohim, 1,3.6.9.11.14.20.24.26). E il suo dire è qui particolarmente solenne, in prima persona plurale: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” (Gn 1,26). L’autore sacro commenta con stupore: “Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò” (Gn 1,27). Si noti il passaggio dal singolare al plurale, come a dire che l’unica immagine divina è presente in duplice edizione! La differenziazione sessuale non è data come immagine di un Dio a sua volta sessuato (come ritenevano ad esempio gli antichi popoli d’Oriente), ma come modo di essere che realizza l’immagine divina proprio nella comunione delle diversità, nella reciprocità del maschile e femminile.
Polvere e soffio, carne e spiritoIl secondo racconto della creazione (Gn 2,4b-25) non è meno importante per l’antropologia biblica. Come abile artista, Dio plasma l’uomo/donna (Adam) con la polvere del suolo (adamah). E’ impastato di argilla l’essere umano, è radicalmente terreno. Ma è reso vivente in modo diverso dall’animale grazie a quel “soffio” che Dio gli inspira direttamente: “e soffiò nelle sue narici un alito di vita” (nishmat hayyîm, Gn 2,7). L’interiorità di Adam viene dall’interiorità stessa di Dio. Dio gli fa respirare la sua stessa vita.[1] Quel soffio è come il bacio sulla bocca! Così l’essere umano comincia a vivere di ciò che esce dalla bocca di Dio: spirito e parola.
La dinamica dell’amore non può prescindere da queste componenti. La “carne” rivela la concretissima dimensione terrena che connota l’essere umano nel mondo e la sua caducità. Come l’animale l’uomo tornerà alla terra da cui è stato tratto: in tal senso è polvere e cenere. Ma quel soffio di vita proveniente dall’intimo di Dio lo abilita a trascendersi e in definitiva ad amare.
“Carne della mia carne” – “E il Verbo si è fatto carne”Il più antico canto d’amore della Bibbia è l’estasi giubilante di ish per isha (uomo/uoma): “essa è carne della mia carne” (basar mibbesarî), esclama il primo uomo innamorato (Gn 2,23).
La presenza della donna “sveglia” l’uomo, lo fa uscire dal sonno (vedi Gn 2,21) e lo fa parlare! Qui si rivela per la prima volta quella nefesh medabberet che secondo il filosofo ebreo Maimonide è ciò che distingue l’uomo da tutte le altre creature.[2] “Sotto il melo ti ho svegliato”, dirà la donna del Cantico (8,5). E le prime parole dell’uomo svegliato dall’amore sono piene di ammirazione e stupore.
“Carne della mia carne” è espressione indicante parentela e singolare alleanza. La ritroviamo identica in 2Sam 5,1 sulla bocca delle tribù d’Israele che riconoscono Davide come loro re.[3] La componente fisica, corporea, particolarmente evidente nella relazione sessuale, connota in maniera concretissima l’amore dell’uomo e della donna. In realtà l’unione sponsale attua il progetto originario del Creatore che Gesù ribadisce e conferma: “e i due saranno una carne sola” (Mc 10,6-9).
Ma la carne è dimensione essenziale della stessa esperienza dell’amore divino dal momento che il Verbo si è fatto “carne”: kai ho logos sarx egeneto (Gv 1,14). Il cristianesimo è la religione della “incarnazione”, l’unica che arrivi a tanto! Di qui l’assioma patristico: caro cardo salutis. Oso parafrasare: caro cardo amoris, “la carne radice dell’amore”. Perché l’amore umano - anche quando non si esprime attraverso la relazione sessuale- non può prescindere dalla carne. Finché siamo in questo mondo anche l’amore per Dio è pur sempre “nella carne”, con tutto ciò che questo comporta.: “Di te ha sete l’anima mia - dice il salmista a Dio- a te anela la mia carne” (Sal 62/63, 2).
D’altro canto non possiamo ignorare la valenza negativa della parola “carne” riscontrabile in vari testi della Scrittura.[4] L’intreccio carne/peccato particolarmente accentuato nella letteratura paolina ha pesato molto in una certa educazione religiosa, contribuendo a connotare negativamente la sessualità.
Oggi si pone piuttosto un problema di comunicazione, vale a dire la necessità di tradurre la categoria biblica della carne (con le sue varie accezioni) nel linguaggio corrente, che preferisce parlare di corpo e corporeità. La nuova versione CEI (1997) si muove in tal senso.[5]
Il canto del corpo: amore terreno e divinoL’esaltazione della corporeità trova ampio spazio nel Cantico dei Cantici, libro sconcertante per gli spiritualisti di ogni tempo, ma non per i mistici. Si vedano in particolare i canti estasiati del corpo (femminile e maschile), contemplato nel suo insieme e nelle sue parti, con sguardo ascendente e discendente: occhi, capelli, denti, guance, collo, seni… e dal basso all’alto: piedi, gambe, ombelico… (vedi Ct 4,1-7; 5,9-16; 6,4-9). Indubbiamente erotico.[6] Tanto più sorprendente in quanto i due giovani amanti non sono ancora marito e moglie. Eppure - concludeva Rabbi Akiba – il Cantico “sporca le mani” (= è divinamente ispirato). E sulla base di tale convincimento fu annoverato nel canone delle Sacre Scritture.
Ciò significa però che il terreno porta il divino. In effetti l’eros del Cantico non è mai chiuso in se stesso ma aperto e trascendente, gode della reciprocità, conosce philia e agapê in una ricerca talvolta angosciante e sofferta (cf. 3,1.2; 5,6). La giovane amante può dire: “Io sono del mio tesoro e verso di me è la sua passione” (7,11), rovesciando così l’affermazione della Genesi con la sua triste appendice: “verso tuo marito sarà la tua passione ed egli vorrà dominare su di te” (Gn 3,16). Nel Cantico invece non vi è alcuna volontà di dominio: né di lei né di lui.
La passione erotica liberata da ogni sopraffazione fa sì che lei si senta “la pacificata” (8,10). Ha trovato il suo shalóm (pace e benessere) in un rapporto d’amore pienamente gratuito e liberante. Perciò chiede al suo diletto: “Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio, perché forte come la morte è l’amore” (Ct 8,6).[7] E’ interessante notare che nel Cantico non troviamo mai il vocabolo erôs né il corrispettivo verbo eraô, mentre invece sono entrambi presenti nel libro dei Proverbi. Sulla bocca della prostituta erôs e philia sono termini intercambiabili, in un sottile parallelismo che cela l’inganno: “Vieni, inebriamoci d’amore (philia) fino al mattino, godiamoci insieme amorosi piaceri (= dilettiamoci di erôs, Pr 7,18)”. Un detto di Agur afferma che l’eros di una donna non dice mai basta (Pr 30,16). Può sembrare negativo, ma avviene la stessa cosa con la divina Sapienza. Sorprendentemente infatti Pr 4,6 riferisce ad essa il verbo dell’amore erotico (eraô) : “Non abbandonarla ed essa ti custodirà, amala (con passione erotica) e veglierà su di te”.
Con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forzePer la Bibbia l’uomo è “essere bifronte o bidimensionale: alla sua faccia esterna e immediatamente percepibile si abbina il suo volto interiore, profondo e nascosto, noi diremmo il suo io intimo, che non sfugge allo sguardo penetrante di Dio e neppure all’occhio penetrante dello stesso interessato”.[8] Tuttavia se dagli elementi visibili della struttura antropologica vogliamo entrare nell’intimo, nell’interiorità della persona, non è in primo luogo il termine “anima” (psychê) che il vocabolario biblico ci fa incontrare, ma piuttosto “cuore” (kardia) e “reni” (nephros).
Il cuore è la sede dei sentimenti, dei pensieri e dei progetti. Solo Dio conosce pienamente ciò che è nel cuore (1Sam 16,7), lui che scruta il cuore e i reni (Ger 11,20; Sir 42,18; Eb 4,12-13):
Più fallace di ogni altra cosa è il cuore e difficilmente guaribile; chi lo può conoscere? Io, il Signore, scruto la mente (lett. “cuore”, leb, kardia, cor) e saggio i cuori (lett. “reni”, kelaiot, nephrous, renes) per rendere a ciascuno secondo la sua condotta, secondo il frutto delle sue azioni (Ger 17,9-10; la Volgata traduce: “ego Dominus scrutans cor et probans renes”).
A queste dichiarazioni del profeta fa eco il Sal 139 (138):
“Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri… Ti sono note tutte le mie vie; la mia parola non è ancora sulla lingua e tu, Signore, già la conosci tutta” (vv. 1-4).
In continuità di prospettiva Luca qualifica il Signore come “il conoscitore del cuore” (kardiognostes: At 1,24). Ora se Dio scruta l’intimo - il cuore e l’anima – si comprende facilmente che in amore non si accontenti di segni esteriori, ma esiga verità e dedizione piena: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,5). Perciò nel Cantico l’innamorata si rivolge al suo Diletto chiamandolo: “Tu che il mio cuore ama”, “amore dell’anima mia” (Ct 1,7; 3,1).
Il cuore è parola decisamente rilevante anche nel NT. In polemica con l’esteriorità farisaica, Gesù ribadisce che l’importante viene “dal di dentro, cioè dal cuore” (Mc 7,21). Bisogna dunque coltivare non solo l’estetica del volto ma del cuore, ornandolo di mitezza e pace (1Pt 3,4). Nel cuore del credente deve abitare il Cristo, adorato e santificato come Signore (1Pt 3,15).
Merita attenzione anche un altro termine, che allude al grembo e alle viscere materne (rehem, splanchna) come sede di emozione e compassione profonda (splanchnizomai). E’ una dimensione dell’amore a cui sia Davide che Gesù si rivelano particolarmente sensibili, fino a diventare icona e chiara trasparenza del patos divino, delle sue viscere di misericordia. Basti evocare 2Sam 19; Mc 6,34; Lc 10,33; 15,20.
Note [1] “Da quel momento l’essere umano resta segnato sia simbolicamente sia realmente da questa funzione tanto primordiale: la respirazione. E la sua respirazione, la sua vita, sarà vita e respiro in e da Dio”: M. T. Porcile Santiso, Con occhi di donna, Bologna: EDB 1999, 45. [2] Rûah hen, c. I, citato da M. T. Porcile Santiso, Con occhi di donna, 46. [3 ]“L’ebreo può riassumere l’idea di uomo non già nello spirito-alito (come tendeva a fare la mentalità greca con l’idea di anima), ma piuttosto in quella di carne-corpo… dire basar, cioè carne-corpo, può già significare uomo, appunto perché è la struttura corporea nella sua visibilità e fisicità che caratterizza e denomina l’essere vivente. E’ questa la ragione per cui una cinquantina di volte nell’AT, il solo termine basar indica l’uomo cogliendone la caratterizzazione che lo fa tale proprio nella strutturazione visibile e plastica del suo essere”: R. Cavedo, “Corporeità” in: P. Rossano - G. Ravasi - A. Girlanda (a cura di), Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Cinisello Balsamo (Mi): Edizioni Paoline 1988, 310. [4] Gesù stesso dice a Nicodemo: “Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito” (Gv 3,6) e nella sinagoga di Cafarnao alla fine del discorso sul pane di vita/carne del Figlio dell’uomo, ai discepoli scandalizzati dalle sue parole egli replica: “E’ lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita” (6,63). [5] Si veda ad esempio 1Pietro 4,1-6 dove il termine “carne” è scomparso, mentre nell’originale greco vi ricorre quattro volte e suggerisce un forte parallelo tra il soffrire “nella carne” (sarx) del Cristo - espressione del massimo amore - e la conseguente rinuncia da parte del cristiano alle “passioni della carne”. [6] Cf. E. Bosetti, Cantico dei Cantici: “Tu che il mio cuore ama”. Estasi e ricerca, Cinisello Balsamo (Mi): San Paolo 2001. [7] Il Cantico si accontenta di dire “come”, consapevole di quanto sia vorace e inesorabile la morte. Ma se l’amore può contrastarla, si prospetta già più forte. Neppure le grandi acque possono domare le fiamme dell’amore perché “sono vampe di Yah(weh)”. “Dio è amore e chi sta nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1Gv 4,16). [8] G. Barbaglio, “Psicologia” in: P. Rossano - G. Ravasi - A. Girlanda (a cura di), Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Cinisello Balsamo (Mi): Edizioni Paoline 1988, 1257-8 (tutto l’articolo: 1257-1271).
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