Terza parte
Mikal e l’arca del
Signore
Nella cupa casa di Saul
oltre l’amicizia di Gionata fiorisce anche l’amore di
Mikal, la figlia più giovane che “s’invaghì di Davide”
(1Sam 18,20). E’ astuta come Rachele la prima donna che
Davide sposa diventando addirittura genero del re che lo
odia a morte
[13].
Come Rachele anche lei userà i terafim (le
divinità domestiche, proprie delle varie tribù) per
ingannare il padre e mettere in salvo la vita del marito
(cf. 1Sam 19,13-16 e Gn 31,19-35).
Non c’è dubbio che Mikal
lo amasse. Rischia molto infatti per metterlo in salvo
facendolo calare di notte dalla finestra: scatena contro
di sé la collera del padre (1Sam 19,17). Eppure non
sembra essere il grande amore di Davide, il quale non
trova in lei l’affinità d’animo che aveva invece con suo
fratello Gionata. La diversità dei sentimenti appare in
tutta la sua evidenza in occasione del trasferimento
dell’arca del Signore.
[14]
“Davide danzava con tutte
le forze davanti al Signore” (2Sam 6,14). Mikal invece
stava a guardare dalla finestra e vedendo il re che
saltava e danzava “lo disprezzò in cuor suo” (6,16). E a
cerimonia finita non mancò di esternare i suoi
sentimenti: “Bell’onore si è fatto oggi il re di Israele
a mostrarsi scoperto davanti agli occhi delle serve dei
suoi servi, come si scoprirebbe un uomo da nulla!”.
Davide rispose a Mikal: “L’ho fatto dinanzi al Signore,
che mi ha scelto invece di tuo padre e di tutta la sua
casa per stabilirmi capo sul popolo del Signore, su
Israele; ho fatto festa davanti al Signore. Anzi mi
abbasserò anche più di così e mi renderò vile ai tuoi
occhi, ma presso quelle serve di cui tu parli, proprio
presso di loro, io sarò onorato!” (2Sam 6,20-22).
L’episodio non rivela
solo un piccolo diverbio familiare, ma due cuori diversi: quello di
Davide innamorato del Signore, che non teme di umiliarsi e di
perdere la propria dignità danzando e cantando in suo onore, e
quello di Mikal, orgoglioso e legato all’immagine di sé, che giudica
del tutto sconveniente il comportamento di Davide. La differenza è
radicale, uno è capace di pazzie per il suo Dio, l’altra è fredda e
razionale, Dio non sembra così importante per la sua vita.
Quando l’amore sposa la saggezza: Abigail
Abigail è la donna che
Davide incontra in un momento nero, in cui la rabbia e l’orgoglio
ferito stavano decisamente prevalendo con il rischio di far
precipitare il nostro eroe dalla vetta all’abisso, dall’amore capace
di perdono alla vendetta. Il racconto si colloca infatti in 1Sam 25,
proprio in mezzo ai due capitoli in cui Davide dà prova di grande
generosità, risparmiando la vita di Saul.
Avendo sentito che un
certo Nabal, assai ricco, stava facendo la tosatura del gregge,
Davide avanza richieste per sfamare i suoi uomini. Ma si sente
rispondere con insultante tono provocatorio: “Chi è Davide e chi è
il figlio di Iesse? Oggi sono troppi i servi che scappano dai loro
padroni” (1Sam 25,10). E’ troppo. Come chi è Davide? Tutti sapevano
dell’eroe che uccise il gigante liberando Israele! Detto e fatto:
“Cingete tutti la spada!”. Tutti cinsero la spada e Davide cinse la
sua e partirono dietro di lui circa quattrocento uomini (v. 13).
E mentre Davide sale
verso la casa dello stolto Nabal deciso a fare una strage prima del
sorgere del sole, qualcuno avverte la moglie di lui, la saggia
Abigail, che interviene prontamente inviando verso gli affamati
abbondanti porzioni di cibo, e quindi scendendo lei stessa sul dorso
di un asino all’incontro con Davide. Quando i due si trovano di
fronte, lei veloce balza di sella, si prostra a terra e inizia un
discorso che progressivamente conquista Davide fino a colpire il
punto dolente: “non sia di angoscia o di rimorso al tuo cuore questa
cosa: l'aver versato invano il sangue e l'aver fatto giustizia con
la tua mano, mio signore” (v. 31). E ha pienamente successo. Davide
resta colpito dalle sue parole più ancora che dalla sua bellezza ed
esclama: “Benedetto il Signore, Dio d’Israele, che ti ha mandato
oggi incontro a me. Benedetto il tuo senno e benedetta tu che mi hai
impedito oggi di venire al sangue e di fare giustizia da me” (vv.
32-33).
Abbiamo buoni motivi per
immaginare che questa donna abile e saggia, che Davide prende in
moglie di lì a poco, data l’improvvisa morte di Nabal, abbia
continuato a stargli vicino con il suo intuito perspicace e la
saggia lungimiranza dell’amore.
[15]
Betsabea e il peccato di Davide
Vorrei evocare
rapidamente un’altra relazione, che mi sembra importante per il
nostro tema in quanto rileva anche gli aspetti problematici del
percorso affettivo di Davide. L’incontro con Betsabea porta evidente
il segno del cedimento alla seduzione. La storia è nota, ma il
racconto è di tale finezza psicologica che il rileggerlo è sempre
arricchente. In primo luogo meritano attenzione le nuove coordinate:
- era “il tempo in cui i re sogliono andare in guerra” (2Sam 25,1).
Ma Davide può concedersi ormai di restare a casa e condurre vita
agiata e regale.
- era “un tardo pomeriggio”, precisa il narratore entrando più
direttamente in tema. Dopo un pranzo regale Davide si era concesso
una debita siesta e quindi “si mise a passeggiare sulla terrazza
della reggia. Dall’alto di quella terrazza egli vide una donna che
faceva il bagno: la donna era molto bella di aspetto” (v. 2).
Di donne belle il suo
harem non era certo sfornito, ma lui ora vuole quella, pur sapendo
che era la moglie del suo mercenario straniero: Uria, l’ittita. Il
re può fare ciò che gli piace, agli altri tocca accontentarlo:
“mandò messaggeri a prenderla. Essa andò da lui ed egli giacque con
lei” (v. 4). Nessuna parola tra i due. Ma dopo qualche settimana
Betsabea fa udire la sua voce: “Sono incinta”.
Comincia la spirale
dell’inganno volta a coprire il misfatto. Davide tenta a sua volta
la seduzione con il povero Uria, ma il gioco non gli riesce. Anzi
quel soldato straniero gli dà una lezione non solo di carattere
morale, ma di sorprendente carica affettiva nei confronti di ciò che
era stato il grande amore di Davide, l’arca del Signore: “L’arca,
Israele e Giuda abitano sotto le tende, Ioab mio signore e la sua
gente sono accampati in aperta campagna e io dovrei entrare in casa
mia per mangiare e bere e per dormire con mia moglie? Per la tua
vita e per la vita della tua anima (nafsheka), io non farò
tal cosa!” (v.11).
Una tale solidarietà
sarebbe stata indubbiamente apprezzata da Davide in altro contesto,
ma ora pensa soltanto a salvare la faccia e per coprire il suo
peccato ne concepisce un altro peggiore. Ci vorrà il profeta con la
coinvolgente parabola del ricco che porta via l’unica pecorella del
povero per svegliare il cuore assopito di Davide che pronuncia la
sentenza: “chi ha fatto questo merita la morte” (v. 5). “Tu sei
quell’uomo!” (v. 7).
Il seguito ci porta
dentro i sentimenti del Miserere: “Abbi pietà di me, o Dio secondo
la tua misericordia, nella tua grande bontà cancella il mio
peccato”. Davide fa appello al grembo materno di Dio, alle sue
viscere di misericordia (kerov rahamêka, “secondo la tua
grande misericordia). Riconosce che Dio vuole “sincerità
nell’intimo” e pertanto chiede un cuore nuovo:
"crea in me, o Dio, un cuore (leb / kardia) puro
rinnova in me uno spirito (ruah / pneuma) saldo.
Non respingermi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito (ruah qodsheka, to pneuma to
hagion sou)."
Ecco dove appare
pienamente la struttura antropologica dell’amore! Troviamo qui
termini importanti in ordine al nostro tema, come “cuore” e
“spirito” con esplicito riferimento alla “grande misericordia”, il
divino grembo materno capace di generare ciò che l’essere umano
peccatore non sa darsi: cuore puro e spirito santo.
Viscere di
compassione
Come Natan aveva
annunciato, Davide sperimenta umiliazione e rivolta da parte della
sua stessa famiglia: è il proprio figlio che attenta al suo regno!
Eppure in tale situazione viene alla luce il Davide che dà il meglio
di sé in termini di cuore e spirito rinnovati, capaci di amare
secondo Dio.
Solo rapidi accenni a quella che possiamo chiamare la sua via
dolorosa. Davide sale piangendo il monte degli Ulivi, fugge
lasciando Gerusalemme alle spalle, umiliato dal figlio che sulla
terrazza del palazzo reale violerà le sue mogli e concubine.
Lasciate che
maledica…
Mentre Davide fugge per
salvarsi la vita, un certo Simei della casa di Saul lanciando sassi
contro di lui lo maledice, gli augura la morte e la fine del regno.
Gli uomini armati che camminano a fianco del re vorrebbero azzittire
una volta per tutte quell’insolente. Ma Davide li trattiene con
queste parole: “Ecco, il figlio uscito dalle mie viscere cerca di
togliermi la vita: Quanto più ora questo Beniaminita! Lasciate che
maledica, poiché glielo ha ordinato il Signore. Forse il Signore
guarderà la mia afflizione e mi renderà il bene in cambio della
maledizione di oggi” (1Sam 16,11-12).
Ancora una volta Davide
legge gli eventi diversamente dai suoi uomini. Anche Simei rientra
nel piano del Signore. Non si tratta di zittire il nemico che
maledice, ma di ottenere misericordia dall’Unico che può capovolgere
la situazione e benedire entrambi. E che il cuore di Davide sia
davvero orientato al perdono lo conferma ciò che avviene a rivolta
domata, quando Simei gli si getta innanzi tremante: “Non morirai!”,
lo assicura il re (19,24).
Assalonne, figlio
mio!
La pagina più toccante è
indubbiamente la sorprendente reazione di Davide alla morte del
figlio Assalonne. Credevano di dargli una bella notizia annunciando
la fine della rivolta capeggiata dal figlio ribelle e traditore. E
invece il re “fu scosso da un tremito, salì al piano di sopra della
porta e pianse; diceva in lacrime: «Figlio mio! Assalonne figlio
mio, figlio mio Assalonne! Fossi morto io invece di te, Assalonne,
figlio mio, figlio mio!» … La vittoria in quel giorno si cambiò in
lutto per tutto il popolo, perché il popolo sentì dire in quel
giorno: «Il re è molto afflitto a causa del figlio». … Il re si era
coperta la faccia e gridava a gran voce: «Figlio mio Assalonne,
Assalonne figlio mio, figlio mio!»” (2Sam 19,1-5).
Deve intervenire Ioab, il
generale dell’esercito, per ricondurre a ragionevolezza un Davide
che infatti è “oltre”: più simile al cuore divino che a quello di un
comune padre mortale. Ioab entrò in casa del re e disse: “Tu copri
oggi di rossore il volto di tutta la tua gente, che in questo giorno
ha salvato la vita a te, ai tuoi figli e alle tue figlie, alle tue
mogli e alle tue concubine, perché mostri di amare quelli che ti
odiano…” (2Sam 19,6-7).
Cuore, anima,
spirito… e carne
Il rapido sguardo al
percorso di Davide ci ha mostrato una dinamica affettiva che
coinvolge cuore, anima, mente e spirito, ma anche viscere e carne.
Cuore amante quello di Davide, capace di slanci generosi, di
compassione e perdono, appassionato di Dio, fedele all’amicizia di
Gionata, sensibile alla bellezza delle donne e vulnerabile:
sperimenta tutta la debolezza della carne con Betsabea e il vortice
del peccato… Eppure – come bene evidenzia l’evangelista Matteo - è
proprio da quella che fu la moglie di Uria che Davide genera la
carne e il sangue del Messia.
[16]
Il Cristo assume la carne
del peccato e la trasfigura di eterno Amore.
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