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Nel
suo Figlio, Gesù buon Pastore, il Padre ha
aperto nella Chiesa, attraverso il Beato Giacomo
Alberione, un nuovo cammino di santità.
La santità
di Dio, che non è
altro che la sua bontà e
la sua bellezza, è
stata resa
visibile in Cristo
buon Pastore: kalōs,
il Pastore Bello. |
Buon
Pastore,
Mausoleo di
Galla
Placidia,
Ravenna |
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Per ogni
cristiano, il cammino di santità inizia con il
Battesimo. Tutti siamo chiamati a vivere in santità la
fede, la speranza, la carità.
Per noi,
Pastorelle, non è solo una vocazione alla
santità personale; ma siamo anche chiamate a prenderci cura della santità
del popolo di Dio
nel
ministero di cura pastorale. La nostra è una vocazione
ad essere
madri e sorelle nello Spirito a
servizio della santità della Chiesa mediante la
configurazione a Cristo Pastore, per risvegliare nell'umanità di
oggi il gusto di Dio.
Supplichiamo nella
preghiera il dono della
santità pastorale:
italiano
english
português
español |
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Lasciamoci interpellare
da alcuni testimoni
di santità vissuta nel
ministero di cura
pastorale.
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I Padri della Chiesa |
Sant'Ambrogio di
Milano
Pastore e Padre della Chiesa
Si ricorda il 7
dicembre |
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Ambrogio, membro di
due importanti
famiglie senatorie
romane che erano
divenute cristiane,
la famiglia degli
Aurelii, da
parte materna, la
famiglia dei
Simmaci, da
parte paterna,
nacque intorno al
339
a Treviri, nella
Gallia, dove il
padre era prefetto
del pretorio. Fu
destinato alla
carriera
amministrativa sulle
orme del padre e per
questo frequentò le
migliori scuole di
Roma, partecipando
poi alla vita
pubblica della città
e ricevendo
un'educazione
classica, in
diritto,
letteratura
e
retorica. |
Dopo cinque anni di
magistratura a
Sirmio, nel
370
fu governatore della
Liguria, poi
dell’Emilia, e
infine, giunse a
Milano come
governatore
dell’Italia
settentrionale, dove
divenne una figura
di rilievo alla
corte
dell'imperatore
Valentiniano I. La
sua abilità di
funzionario nel
dirimere
pacificamente i
forti contrasti con
gli ariani gli valse
un largo
apprezzamento da
parte della
popolazione.
Erano passati una
cinquantina d’anni
dall’editto di
Costantino e la
Chiesa era andata
crescendo,
consolidandosi e
organizzandosi e,
nello stesso tempo,
risentiva delle
prime eresie
cristologiche e
delle lotte tra
ariani e ortodossi,
cioè coloro che
aderivano pienamente
ai Concili che
avevano sancito i
primi dogmi della
fede cristiana e
coloro che vi si
opponevano. |
|
Nel 374,
alla
morte
del
vescovo
ariano
Aussenzio,
Ambrogio
fu
acclamato
dal
popolo
vescovo
di
Milano,
al grido
"Ambrogio
vescovo!",
ma era
solo un
catecumeno.
Egli
inizialmente
rifiutò
decisamente
l'incarico,
non
essendo
preparato:
non
aveva
ancora
ricevuto
il
battesimo
né aveva
affrontato
studi di
teologia.
Dopo la
conferma
della
carica
da parte
dell'imperatore
Flavio
Valentiniano,
nel giro
di pochi
giorni
Ambrogio
fu
battezzato
e
ordinato
vescovo.
Culturalmente
molto
preparato,
ma
altrettanto
sfornito
nell’approccio
alle
Scritture,
il nuovo
vescovo
si mise
a
studiarle
alacremente.
In
questo
modo
Ambrogio
trasferì
nell’ambiente
latino
la
meditazione
delle
Scritture
avviata
da
Origene,
iniziando
in
Occidente
la
pratica
della
lectio
divina.
Il
metodo
della
lectio
giunse a
guidare
tutta la
predicazione
e gli
scritti
di
Ambrogio,
che
scaturivano
abbondantemente
dall’ascolto
orante
della
Parola
di Dio.
Il
vescovo
adottò
uno
stile di
vita
ascetico,
elargì i
suoi
beni ai
poveri,
donando
loro i
suoi
possedimenti
terrieri,
eccetto
il
necessario
per la
sorella
Marcellina,
che si
consacrò
a Cristo
nell’Ordine
delle
vergini
e per la
quale
Ambrogio
scrisse
il suo
celebre
trattato
sulla
verginità
cristiana.
Uomo di
|
grande carità, tenne
la sua porta sempre
aperta, prodigandosi
senza tregua per il
bene delle persone
affidate alle sue
cure.
La sua sapienza ed
il suo prestigio
furono determinanti
per la conversione
di Agostino, spirito
inquieto e acuto,
che nel 386 era
venuto a Milano per
insegnare retorica,
ed era alla ricerca
della verità.
Cercava, ma non era
in grado di trovare,
perché non si era
ancora reso conto
che, invece, era Dio
a cercare lui.
A muovere il
cuore del giovane
retore africano e a
spingerlo alla
conversione, furono
le belle omelie di
Ambrogio, ma
sopratutto la
testimonianza della
sua vita e della sua
Chiesa di Milano,
profondamente unita
al suo vescovo, che
pregava e cantava, e
i cui inni
affascinarono il
cuore di Agostino.
Nella notte di
Pasqua del 387
Agostino ricevette
da lui il battesimo.
La Chiesa guidata da
Ambrogio fu capace
di resistere alle
prepotenze
dell’imperatore e di
sua madre, che nei
primi giorni del 386
erano tornati a
pretendere la
requisizione di un
edificio di culto
per le cerimonie
degli ariani.
Nell’edificio che
doveva essere
requisito – racconta
Agostino –«il
popolo devoto
vegliava, pronto a
morire con il
proprio Vescovo.
Anche noi, pur
ancora
spiritualmente
tiepidi, eravamo
partecipi
dell’animazione di
tutto il popolo»
[1]. |
|
|
Successivamente
Ambrogio fece
costruire delle
basiliche
ai quattro lati
della città, quasi a
formare un quadrato
protettivo,
probabilmente
pensando alla forma
di una croce. Esse
corrispondono
all'attuale basilica
di san Nazaro, sul
decumano,
presso la Porta
Romana; dalla parte
opposta la basilica
di
san
Simpliciano; a
Sud-Ovest la
Basilica Martyrum
per accogliere i
corpi dei santi
Gervasio e Protasio.
Fu lo stesso
Ambrogio a rinvenire
tali reliquie in
onore dei quali fu
costruita la
basilica, nella
quale sarà sepolto
lo stesso Ambrogio,
e che in seguito
sarà chiamata,
appunto, basilica di
sant’Ambrogio; e
infine la basilica
di san Dionigi.
Ambrogio, vescovo di
Milano, che era la
città di residenza
della corte
imperiale, esercitò
un'influenza
importante nella
vita sociale e
politica
dell'impero. In
particolare proprio
perché l'imperatore,
a cominciare da
Costantino,
manteneva una certa
autorità all'interno
della Chiesa,
Ambrogio ne prese le
distanze conservando
le sue prerogative
ecclesiali, sino a
prendersi cura della
stessa vita
cristiana
dell’imperatore
Teodosio.
Infatti nel 390 lo
richiamò severamente
perchè aveva
ordinato un massacro
tra la popolazione
di Tessalonica, rea
di aver linciato il
capo del presidio
romano della città.
In tre ore di
massacro erano state
assassinate migliaia
di persone. Ambrogio
impose
all'imperatore una
"penitenza
pubblica", cioè
l'esclusione dalla
partecipazione alla
liturgia. Teodosio
si piegò alla
fermezza di Ambrogio
e accettò la
penitenza
impostagli. Solo nel
Natale
successivo venne
assolto e riammesso
ai sacramenti. |
|
Ambrogio
scrisse
opere di
morale
e
teologia
e
combatté
a fondo
sia l'arianesimo
che il
paganesimo.
Egli
maturò
in pochi
anni uno
straordinario
sensus
fidei,
che
influì
notevolmente
nella
cultura
del suo
tempo.
Scrisse
inoltre
molti
inni per
la
preghiera,
compiendo
fondamentali
riforme
nella
liturgia
e nel
canto
sacro,
introducendo
molti
elementi
tratti
dalle
liturgie
orientali.
La sua
liturgia
fu
mantenuta
nella
diocesi
di
Milano
dai
successori
e
riconosciuta
come
rito
ambrosiano,
tutt’ora
in uso.
Si
adoperò
molto
per
rigenerare
la
spiritualità
e la
preparazione
teologica
del
clero e
per
proporre
esperienze
testimoniali
forti al
popolo
cristiano.
Promosse
e
sostenne
la
verginità
consacrata,
rinnovando
così la
dimensione
escatologica,
che dopo
l’epoca
dei
martiri,
cominciava
ad
affievolirsi.
Pronunciò
parole
severe
contro
l’usura
e l’uso
egoistico
dei beni
della
terra,
con la
sua
parresia
evangelica
si
oppose a
imperatori
e
potenti
del suo
tempo,
che
erano
caduti
in
|
errori
morali e
dottrinali,
senza
mai
dimenticare
di
annunciare
la
misericordia
di Dio
verso
gli
erranti.
Nel
trattato
sulla
penitenza,
è molto
bello
cogliere
come il
santo
vescovo
si
riconosce
solidale
con i
peccatori:
“Signore,
non
permettere
che si
perda,
ora che
è
vescovo,
colui
che
quand’era
perduto,
hai
chiamato
all’episcopato,
e
concedimi
anzitutto
di
essere
capace
di
condividere
con
intima
partecipazione
il
dolore
dei
peccatori.
Anzi,
ogni
volta
che si
tratta
del
peccato
di uno
che è
caduto,
concedimi
di
provarne
compassione
e di non
rimbrottarlo
altezzosamente,
ma di
gemere e
piangere,
così
che,
mentre
piango
su un
altro,
io
pianga
su me
stesso”
[2].
Fu un
pastore
fedele a
Cristo e
al suo
gregge,
che
guidò
con
sapienza
e
coraggio
nella
maturazione
della
fede e
nella
piena
adesione
al
Vangelo.
Si
consumò
interamente
nell’esercizio
del
ministero
pastorale,
e morì
quando
ancora
non
aveva
sessant’anni. |
|
|
“Il santo Vescovo
Ambrogio morì a
Milano nella notte
fra il 3 e il 4
aprile del 397. Era
l’alba del Sabato
santo. Il giorno
prima, verso le
cinque del
pomeriggio, si era
messo a pregare,
disteso sul letto,
con le braccia
aperte in forma di
croce. Partecipava
così, nel solenne
Triduo pasquale,
alla morte e alla
risurrezione del
Signore. «Noi
vedevamo muoversi le
sue labbra», attesta
Paolino, il diacono
fedele che su invito
di Agostino ne
scrisse la Vita, «ma
non udivamo la sua
voce». A un tratto,
la situazione parve
precipitare.
Onorato, Vescovo di
Vercelli, che si
trovava ad assistere
Ambrogio e dormiva
al piano superiore,
venne svegliato da
una voce che gli
ripeteva: «Alzati,
presto! Ambrogio sta
per morire...».
Onorato scese in
fretta – prosegue
Paolino – «e porse
al santo vescovo il
Corpo del Signore.
Appena lo prese e
deglutì, Ambrogio
rese lo spirito,
portando con sé il
buon viatico. Così
la sua anima,
rifocillata dalla
virtù di quel cibo,
gode ora della
compagnia degli
angeli» (Vita 47).
In quel Venerdì
santo del 397 le
braccia spalancate
di Ambrogio morente
esprimevano la sua
mistica
partecipazione alla
morte e alla
risurrezione del
Signore. Era questa
la sua ultima
catechesi: nel
silenzio delle
parole, egli parlava
ancora con la
testimonianza della
vita”
[3].
L'eredità di
Ambrogio è delineata
principalmente a
partire dalla sua
attività pastorale:
la predicazione
della
Parola di Dio
coniugata alla
teologia,
l'attenzione ai
problemi della
giustizia sociale,
l'accoglienza verso
le persone
provenienti da
popoli lontani, la
denuncia degli
errori nella vita
civile e politica.
Una tradizione che
lungo i secoli è
stata custodita
dalla Chiesa intera
e specialmente da
quella ambrosiana.
Le omelie e i
pronunciamenti del
suo vescovo, anche
oggi, soprattutto in
occasione della
festa di s.
Ambrogio, sono
tenuti in grande
considerazione
dall’opinione
pubblica.
“Come l’apostolo
Giovanni, il Vescovo
Ambrogio – che mai
si stancava di
ripetere: «Omnia
Christus est nobis!
– Cristo è tutto per
noi!» – rimane un
autentico testimone
del Signore. Con le
sue stesse parole,
piene d’amore per
Gesù, concludiamo
così la nostra
catechesi: «Omnia
Christus est nobis!
Se vuoi curare una
ferita, Egli è il
medico; se sei
riarso dalla febbre,
Egli è la fonte; se
sei oppresso
dall’iniquità, Egli
è la giustizia; se
hai bisogno di
aiuto, Egli è la
forza; se temi la
morte, Egli è la
vita; se desideri il
cielo, Egli è la
via; se sei nelle
tenebre, Egli è la
luce ... Gustate e
vedete come è buono
il Signore: beato è
l’uomo che spera in
Lui!» (La verginità
16,99)”
[4].
Ambrogio di Milano,
santo vescovo e
padre della Chiesa,
rimane un punto di
riferimento per
chiunque sia
chiamato a prendersi
cura della vita in
Cristo e ad
annunciare il
Vangelo a coloro che
cercano la verità e
la giustizia ma non
riescono a trovarla
perché non sanno che
quel desiderio è
posto nei loro cuori
da Dio stesso. A lui
possiamo fare
riferimento anche
per ritrovare quel
respiro ecclesiale a
due polmoni, quello
dell’Oriente e
dell’Occidente
cristiano, che
Giovanni Paolo II ha
desiderato e
promosso per
l’intera Chiesa, in
tutto il suo
pontificato.
|
A cura di sr
Giuseppina
Alberghina sjbp |
|
Note
[1]
Agostino di Ippona,
Confessioni,
9, 7.
[2]
S.
Ambrogio, Sulla
penitenza, 2,
73.78.
[3]
Benedetto XVI,
Udienza generale del
24 ottobre 2007.
[4]
Benedetto XVI, idem. |
|
|
Testimoni della
santità pastorale |
Sr Cecilia Domenica Sciarrone:
il cuore ardente e le
mani operose
di una autentica
missionaria |
|
Domenica è una bella
ragazza calabrese di
21 anni quando
chiede di entrare
nella Congregazione
delle Suore di Gesù
buon Pastore,
Pastorelle, un nuovo
gruppo di Religiose
della Famiglia
Paolina, che aveva
solo 4 anni di vita.
Infatti il 22
settembre del 1942,
Domenica si unisce
al piccolo gruppo di
suore che, a Genzano
di Roma, comincia ad
avere una sua
consistenza e si sta
sviluppando
rapidamente.
La giovane arriva
munita della
presentazione del
suo parroco, don
Gaetano Cotroneo,
che testimonia la
solidità della sua
vocazione religiosa.
È cresciuta in una
famiglia cristiana
di buon livello
sociale, che si
distingue nel paese
per una certa
agiatezza e per la
frequenza assidua
alla vita
parrocchiale. Papà
Santo e mamma
Eleonora Pratticò
hanno avuto sei
figli: un maschio,
che diventerà
magistrato e cinque
femmine, di cui due
religiose, una
Pastorella, la
nostra sr Cecilia, e
una Salesiana, sr
Caterina. |
|
|
Domenica
nasce a
Campo
Calabro,
in
provincia
di
Reggio
Calabria,
il 23
novembre
1920 e
viene
battezzata
nella
Chiesa
parrocchiale,
dedicata
a Santa
Maria
Maddalena,
l’8
dicembre
successivo,
festa
dell’Immacolata,
come
attesta
la fede
di
battesimo.
Quando
Domenica
entra in
Congregazione,
sono gli
anni
burrascosi
della
seconda
guerra
mondiale
e il
piccolo
gregge
di
Pastorelle
fa del
suo
meglio
per
affrontarne
i disagi
e le
privazioni
e per
aiutare
la gente
intorno.
|
|
|
Il tempo
di
guerra
coincide
con
quello
della
sua
prima
formazione
e,
insieme
alle
suore,
vive il
pellegrinaggio
da una
comunità
all’altra,
alla
ricerca
di un
luogo
più
sicuro.
Alla
fine del
1942 è a
Valdicastello
in
provincia
di Lucca
e
successivamente
a Farra
d’Alpago,
nel
bellunese.
Tempi
difficili
ma di
grandi
slanci
generosi
in cui
vivere
la
sequela
del
Signore
con
radicalità
evangelica.
Soltanto
alla
fine
della
guerra,
quando
la pace
va
consolidandosi,
Domenica
compie
il
noviziato
a
Genzano
ed
emette
la sua
prima
professione
il 6
gennaio
1948,
prendendo
il nome
di
Cecilia,
la
martire
romana
che
aveva
versato
il suo
sangue
per
Cristo,
rendendo
una
testimonianza
gioiosa
e
coraggiosa
della
sua
fede. Sr
Cecilia
cerca
sempre
di far
onore
alla
martire
di cui
porta il
nome e
sin
dagli
inizi
della
sua vita
religiosa
è
“animata
da
grande
spirito
di fede
e di
carità,
contenta,
generosa
con
tutte,
premurosa
nell’aiutare,
specialmente
in
sartoria,
ma
ovunque
fosse
richiesta,
senza
far
pesare a
nessuno
quello
che
faceva”,
come
testimonia
una
sorella. |
|
Dopo la professione la troviamo a S. Pietro alle Acque, in Umbria, che in quegli anni è la casa principale dell’Istituto, dove si svolge anche la prima parte della formazione iniziale. Sr Cecilia, tra le sue tante qualità umane e spirituali, sa cucire e ricamare con finezza e pratica tante altre arti femminili, che trasmette alle giovani con entusiasmo. Nel 1951 le è affidato il compito di superiora nella comunità di Polinago, una bella località dell’Appennino modenese, dove d’inverno non manca mai la neve, e nel 1953 viene chiamata ad animare la comunità di Medolla, nella bassa pianura modenese, a servizio di una parrocchia piena di vita. |
E proprio a Medolla, dove sta per iniziare il suo apostolato, la raggiunge la chiamata missionaria: in Brasile dove la Congregazione sta mettendo le prime radici e tante giovani chiedono di entrare. C’è proprio bisogno di una sorella come sr Cecilia per dare una mano nel fervore della crescita, in cui bisogna provvedere a tante cose, non ultime quella di avere una casa dove accogliere le giovani. “Appena messo piede sul suolo brasiliano, dopo due giorni dal suo arrivo mi accompagnò per un giro di beneficenza a Rio de Janeiro, per sovvenire alle necessità della casa di Terceira Légua di Caxias do Sul, dove c’era già un bel gruppo di aspiranti”, testimonia la sorella di prima. |
|
|
|
Sr Cecilia si
inserisce nella
comunità formativa
di
Terceira Légua
e le sorelle stanno
volentieri in sua
compagnia. È
semplice e
spontanea, nel suo
modo di esprimersi
non fa mancare una
nota di allegria, ma
sa anche accettare i
suoi limiti e
riconoscere
sinceramente quando
sbaglia. Nel 1959 fa
parte della comunità
di Avenida san
Leopoldo, sempre a
Caxias do Sul, che
nel 1956 era
divenuta la casa
principale
dell’Istituto e casa
di formazione.
Dopo uno dei suoi
viaggi missionari in
nave, scrive al
Primo Maestro
raccontando come
trascorre le
giornate durante la
lunga traversata,
pregando molto ed
anche dedicandosi ai
bambini che
viaggiano con le
loro famiglie. Tra
l’altro scrive: “Si
lodava Dio sopra la
immensità delle
acque. Ho sofferto
il distacco dai
familiari e
consorelle, ma nel
mio cuore vibrava
tanta gioia e
intimità con Gesù,
nei lunghi colloqui
davanti a quel
piccolo Ciborio;
rinnovando ad ogni
istante l’offerta
che lei sa… per
riparare i tanti e
tanti peccati che si
commettono”.
Nel 1963 ritorna in
Italia e sosta per
poco più di un anno
nella comunità di
Saliceto Panaro,
dove si dedica alla
pastorale familiare.
Riparte per il
Brasile e si
inserisce nella
comunità di
Jabaquara, a San
Paolo, dove la
Congregazione ha già
una grande comunità
e una prima scuola,
destinata a
diventare un
prestigioso Istituto
educativo:
l’Istituto Divina
Pastora. Qui sr
Cecilia, come
sempre, sta bene
insieme alle giovani
e contribuisce con
la sua laboriosità a
provvedere alle
mille necessità
quotidiane. Vi
rimane sino al 1969,
quando viene
nominata superiora
della comunità di
Terceira Légua, dove
aveva iniziato la
sua avventura
missionaria.
Successivamente la
troviamo superiora
nella comunità di
Fagundes Varela, che
era stata aperta nel
1954.
Qui rimane sino al
suo rientro
definitivo in Italia
nel 1971. |
|
Seconda parte
Nella prima parte
abbiamo descritto la
vocazione e la vita
religiosa di sr
Cecilia Domenica
Sciarrone, compresa
la sua bella
esperienza
missionaria in
Brasile, che
conclude nel 1971,
anno in cui viene
richiamata in
Italia.
Al rientro dal
Brasile, dopo una
sosta ad Albano,
dedicata allo studio
per conseguire il
diploma di maestra
di scuola materna,
sr Cecilia viene
chiamata a far parte
della comunità di
Borgo Milano, a
Verona, dove
nell’anno scolastico
1972/73 svolge il
tirocinio nella
scuola materna.
Sente molto la gioia
dell’apostolato e si
prodiga con
generosità là dove
vede un bisogno. È
fedelissima nella
cura della sua vita
spirituale e
difficilmente
tralascia la
preghiera. Si
prepara con passione
all’apostolato,
specialmente per il
catechismo, che ama
molto e che fa con
gusto, senza
smettere di
partecipare ai corsi
di aggiornamento. Si
dedica anche alle
visite agli ammalati
della parrocchia ed
entra a far parte
dell’Unitalsi[1],
proprio per poter
svolgere meglio il
suo compito di
consolazione e di
aiuto spirituale
verso chi soffre.
|
|
Sr
Cecilia
ha
spesso
delle
battute
umoristiche
che
rendono
piacevole
la sua
compagnia,
con la
sua
semplicità
disarmante
unita a
una
grande
precisione
in tutto
quello
che fa,
offre un
bell’esempio
di
disponibilità
e
responsabilità.
È
affettuosa
e
sincera,
sempre
pronta a
collaborare
alle
necessità
del
momento,
dimostrando
un
grande
amore
verso la
Congregazione.
La sua
profonda
fede e
la piena
fiducia
nel
Primo
Maestro
e nei
superiori
la
rendono
docile
all’obbedienza
e
zelante
nell’apostolato,
che sa
compiere
solo per
il
Signore
e non
per
farsi
notare.
Sr
Cecilia
parla e
ascolta
volentieri
le cose
di Dio,
alimenta
il suo
colloquio
interiore
con il
Signore,
per
conoscerlo
e amarlo
sempre
di più.
|
La sua
salute
non è
delle
migliori
e
nell’estate
del
1975,
durante
la
visita
in
famiglia
approfitta
per un
periodo
di
riposo,
godendo
anche il
suo
bellissimo
mare
calabrese.
In
agosto,
al
ritorno
in
comunità,
si
manifestano
in lei i
primi
sintomi
di un
male che
non si
riesce a
diagnosticare
con
facilità.
Accusa
spossatezza
e forti
dolori
alla
testa.
Il
medico
le
consiglia
una cura
ricostituente,
che non
sortisce
però i
risultati
sperati.
Col
passare
delle
settimane
la sua
salute
tende a
peggiorare
e sr
Cecilia
manifesta
momenti
passeggeri
di
perdita
della
memoria
e, a
volte,
il suo
comportamento
sembra
segnato
da un
certo
disorientamento.
|
|
|
Questa situazione
non le consente di
continuare a
svolgere il suo
apostolato e lascia
la comunità di Borgo
Milano, la gente
della parrocchia,
specialmente gli
ammalati, che le
vogliono molto bene,
le augurano una
pronta guarigione e
un felice ritorno.
Così verso la fine
dell’anno, sr
Cecilia si reca in
Casa Madre ad
Albano, e il suo
stato di salute
consiglia il
ricovero nella
Clinica Regina
Apostolorum dove
subisce un
intervento di
colecistotomia. Si
riprende a fatica e
durante la lunga
convalescenza si
notano segni
evidenti di
peggioramento e di
affaticamento
mentale. Subito dopo
la Pasqua del 1976
si decide un
ricovero immediato
in una clinica
specializzata di
Roma, dove rimane
però solo un giorno,
per la difficoltà di
diagnosticare il
male. Perciò il 24
aprile viene
trasferita
all’ospedale San
Camillo dove rimane
sino al 22 giugno.
Prima di partire da
Albano per il
ricovero a Roma, una
sorella la conforta,
ricordandole una
frase del Primo
Maestro: “Il
letto di una suora
malata è come un
altare”. In
quell’istante il suo
volto sembra
trasfigurarsi e
dolcemente risponde
alla sorella:
“Che cose belle mi
stai dicendo!”.
In questa frase c’è
tutta suor Cecilia,
la sua
determinazione a
voler essere una
religiosa in tutto,
sino all’offerta
della vita insieme a
Gesù buon Pastore. |
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All’ospedale
le viene
diagnosticato
un
tumore
al
cervello,
forse in
stato
ormai
avanzato,
ma si
tenta
ugualmente
un
intervento
chirurgico
allo
scopo di
circoscrivere
il male,
tuttavia
l’obiettivo
non
viene
raggiunto
e le sue
condizioni
peggiorano
notevolmente.
Vedendo
la
situazione
molto
grave i
medici
consigliano
di
trasferirla
all’ospedale
di
Albano
Laziale,
per
poter
essere
assistita
più
agevolmente
dalle
consorelle,
che si
alternano
giorno e
notte al
suo
capezzale,
con
grande
amore e
dedizione.
Il
giorno
dei
santi
Apostoli
Pietro e
Paolo,
giorno
di
grande
festa
per la |
Congregazione,
la
superiora
generale,
in
partenza
per il
Brasile,
si reca
da sr
Cecilia
per
salutarla
e
chiedere
la
collaborazione
della
sua
preghiera
e della
sua
offerta.
Sr
Cecilia
non può
parlare
ma
manifesta
con
l’espressione
del
volto e
soprattutto
con gli
occhi la
sua
gioia e
la sua
partecipazione
al
viaggio,
con
l’offerta
delle
sue
sofferenze.
Nonostante
fosse
paralizzata,
al
momento
di
pregare
il Padre
nostro,
si
ricompone
in
atteggiamento
di
preghiera,
quella
preghiera
del
cuore
che il
Signore
accoglie
nel
segreto
del Suo
mistero. |
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La situazione di
salute si aggrava
ulteriormente e Sr
Caterina, la sorella
salesiana, le rimane
vicina negli ultimi
giorni insieme alle
Pastorelle che non
la lasciano sola
nemmeno un istante.
All’alba del 13
luglio del 1976,
alle ore 3.40, sr
Cecilia consegna al
Padre la sua
esistenza terrena ed
entra nella Vita che
non ha fine.
Una vita breve
quella di sr
Cecilia, che solo
nel novembre
successivo avrebbe
compiuto 56 anni.
Breve ma intensa
nella fede e nella
dedizione a Gesù
buon Pastore,
nell’amore alla
vocazione di
Pastorella e nella
cura del popolo di
Dio. Il suo cuore
ardente si è
purificato al
crogiuolo di una
sofferenza profonda
e difficile da
comprendere, ma che
il Padre Celeste ha
accolto nella
silenziosa offerta
di un atto d’amore
purissimo, che solo
Lui ha potuto
conoscere
nell’intensità e
nella gratuità. Le
sue mani ormai unite
a quelle di Cristo
Crocifisso e
glorioso, certamente
continuano ad essere
operose
nell’abbondanza
della benedizione e
dell’intercessione,
alla presenza
beatificante della
Santa Trinità.
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|
A cura di sr Giuseppina
Alberghina sjbp |
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Note
[1]
U.N.I.T.A.L.S.I. (UNITALSI)
– Unione Nazionale
Italiana Trasporto
Ammalati a Lourdes e
Santuari
Internazionali. |
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