«Io sono il buon Pastore»
Buone Pastorelle, da qualche
tempo ho costatato come la grazia divina lavora in voi, nella vostra
famiglia religiosa: più luce, più carità, più lavoro interiore, più
spirito pastorale, vita pastorale più intensa e più attiva.
Che desiderio pio e meritorio
un gruppo di Pastorelle in tante parrocchie! Ma non un gruppo di
suore comuni che vanno per l'asilo, ma un gruppo di Pastorelle che
comprendano e facciano la missione che vi descrivo.
San Paolo ci presenta Gesù
sacerdote. E il Divino Maestro stesso ci si presenta come pastore:
«ego sum pastor bonus». Questa immagine completa l'idea grandiosa
del sacerdote Gesù, e ce ne fa conoscere l'azione benefica nelle
anime.
E' tanto bello studiare il
brano evangelico ove Gesù raccoglie il suo insegnamento sulle
funzioni del pastore. Lo faremo considerando le parole del testo
evangelico.
«Io sono il buon pastore, il
buon pastore dà la vita per le sue pecorelle. Il mercenario invece e
chi non è pastore, a cui non appartengono le pecore, vede venire il
lupo, lascia le pecore e fugge e il lupo le azzanna e le disperde.
Il mercenario fugge, perché è mercenario, non gli importa delle
pecore. Io sono il buon pastore, e conosco le mie e le mie conoscono
me, come il padre conosce me ed io conosco il padre; e per le mie
pecorelle do la vita. Ed ho delle altre pecorelle che non sono di
questo ovile, anche queste bisogna che raduni e daranno ascolto alla
mia voce, e si avrà un solo ovile e un solo pastore».
Era nelle abitudini di Gesù
Cristo parlare in parabole; e già il Profeta aveva indicato in
questo un segno di riconoscimento del futuro Messia. Per farci
intendere il suo ministero apostolico in mezzo al mondo, Egli si
valse di questa graziosa parabola.
Gesù è il pastore delle anime.
Le anime sono sue e a tanti titoli: Egli ne è il Creatore, e il
provvido conservatore; Egli le ha riscattate dalla schiavitù del
peccato versando come prezzo il suo sangue prezioso.
Esiste un'intima relazione tra
il buon pastore Gesù e le anime.
I sacerdoti hanno qui un punto
di somiglianza col divino pastore; anch'essi generano le anime alla
grazia e le alimentano con i sacramenti, preoccupandosi di ognuna di
loro come di figli carissimi.
Le Pastorelle fanno col
sacerdote pastore un'unica missione; hanno le stesse premure, lo
stesso fine, gli stessi mezzi.
Il pastore evangelico non è
solamente proprietario del gregge, ma è anche proprietario
dell'ovile; e quindi vi entra e vi esce a suo piacimento: «qui
intrat per ostium, pastor est ovium».
Gesù è il vero pastore, ma non
si è arrogato da sè il titolo di pastore, glielo ha affidato il suo
Padre celeste: «hoc mandatum accepi a Patre meo». Il profeta
Ezechiele ci riporta le parole del mandato: «suscitabo super eas
Pastorem unum, qui pascat eas». Così dovrà essere anche per noi.
Dio, Dio solo chiama al
sacerdozio e alla vita religiosa di Pastorelle: «non vos me
eligistis, sed ego eligi vos».
La prima dote del buon pastore
e delle Pastorelle è di conoscere le pecorelle e farsi da loro
conoscere. Questa sarà la prova del loro interessamento, questa sarà
la condizione perché le pecorelle non temano la loro presenza.
Questa dote la riscontriamo perfettamente in Gesù: «cognosco meas».
Ed è da notarsi che le conosce una per una; a tutte ha assegnato il
proprio nome e per nome le chiama.
Anche il pastore e la
Pastorella devono conoscere il popolo fra il quale operano. Non si
tratta di conoscere i corpi che si vedono, ma le anime. Dobbiamo
farci conoscere col catechismo, col ministero della parola, che ci è
stato affidato dal Maestro.
Un altro prezioso insegnamento
di Gesù è questo: dobbiamo precedere le nostre pecorelle col buon
esempio. Non dobbiamo comportarci come i sacerdoti dell'antica legge
dei quali Gesù stesso dice: «omnia quaecumque dixerint vobis servate
et facite secundum opera vero illorum nolite facere».
Le pecorelle sono insidiate dai
ladri e dai lupi. I ladri vorrebbero strapparle dal loro ovile e i
lupi vorrebbero sbranarle. Tocca a noi difendere il gregge con
coraggio e sacrificio. Il buon pastore e la vera Pastorella
espongono la loro vita e la sacrificano per la salvezza del gregge:
«bonus pastor animan suam dat pro ovibus suis».
Gesù insiste sulla grande prova
di amore che Egli ha dato alle sue pecorelle; nessuno si è mai
trovato nelle sue condizioni, di essere cioè padrone della vita, e
di sacrificarla volendola sacrificare.
Per compiere il nostro dovere
apostolico, dobbiamo saper andare fino all'estremo, accettando la
morte, quando i nemici delle pecorelle e del Pastore divino ce
l'infliggessero.
C'è un altro pericolo per le
pecorelle: che qualcuna si perda. Mentre si trova al pascolo,
seguendo gli istinti, andando in cerca dell'erba più abbondante e
più fresca, si è allontanata dal gregge; e di balza in balza, di
burrone in burrone, è andata a finire nel profondo della valle. Il
buon pastore, appena se ne accorge, lascia le altre al sicuro
nell'ovile e va fino nell'abisso per trovarla: «vadit ad illam, quae
perierat, donec inveniat eam». E quando l'ha trovata non sfoga
contro di lei il suo disappunto, non la spinge su per l'erta della
montagna a colpi di bastone, ma
la prende amorosamente sulle
spalle e la riporta contento all'ovile.
Deve essere virtù propria dei
sacerdoti coltivare l'amore ai peccatori ed adoperarsi per
ricondurli sulla via del paradiso. Con uguale cuore ed amore lo
devono fare anche le Pastorelle, secondo la loro eccelsa vocazione.
Purtroppo queste pecorelle
sbandate e randagie non sono una sola, ma mille e mille; sentiamo
vivo l'anelito di Gesù: «et vocem meam audient: et fiet unum ovile
at unus pastor». Ecco il compito affidato al pastore e alla
Pastorella. Quanto maggiore sarà lo zelo tanto più presto si attuerà
questo magnifico ideale dell'unico ovile. Gesù per questo ha pregato
in terra e continua a pregare in cielo: «ut omnes sint unum»; e
mette a disposizione di tutti i suoi tesori di verità, di grazia, di
misericordia.
Le Pastorelle sono anime che
hanno penetrato la dottrina di Gesù, che hanno acquistato la carità
di Gesù, che vivono unite a Gesù e sono tutte di Lui; che si
dividono in piccoli gruppi, si stabiliscono in una parrocchia, ove
considerano le anime come proprie, per adozione; a loro si sentono
legate per la vita, la morte, l'eternità, in un'unica aspirazione di
tutte salvarle. Collaborano quanto all'apostolato col parroco per
istruire e custodire; per distruggere il male e mettere il bene, per
convertire e santificare; portare alla vita cristiana e alla buona
morte, col programma del parroco e dell'amore; morire ogni giorno
per salvare ogni giorno.
Esse saranno le sorelle, le
madri, le maestre, le catechiste, le consolatrici di ogni dolore, un
raggio di luce e di sole benefico e continuo nella parrocchia.
Gennaio 1947 |