«DE CATECHIZANDIS RUDIBUS»: UNA QUESTIONE DI CARITÀ di Giuseppina Battista sjbp |
Con "De catechizandis rudibus" Agostino dà inizio alla riflessione sulla metodologia dell'insegnamento e alla riflessione sui dinamismi dell'apprendimento: accanto al messaggio da offrire e alla figura del maestro, per la prima volta compare il catechizzando, considerato nella sua situazione, nelle sue reazioni e nei suoi sentimenti. La carità, afferma Agostino, è la condizione fondamentale perché si realizzi ogni apprendimento: l'amore è la condizione, l'oggetto e il fine dell'insegnamento; è il fondamento di ogni relazione educativa che vince ogni "tedio". |
L'opera di Agostino, De catechizandis rudibus[1] è una lettera scritta intorno al 405 [2] dal Vescovo di Ippona a Deogratias, diacono della Chiesa di Cartagine, incaricato di istruire i «rudes»[3], cioè i pagani candidati al catecumenato.
Il
De catechizandis
rudibus nella evoluzione
dell'insegnamento cristiano segna
una tappa abbastanza importante[4].
Con esso inizia, accanto alla
esposizione catechistica, la
riflessione metodologica sull'atto
dell'insegnare e sul processo di
apprendimento in generale. Agostino
aveva già, nel De Magistro,
delineato una teoria dell'insegnamento
e dell'espressione, ma è nel De catechizandis rudibus che tratta in
maniera più diretta il problema
didattico. Il problema didattico che
deve trovare il suo centro nell'amore,
nella carità, nel «diletto», sia per
chi insegna, sia per chi apprende. L'opera, De catechizandis rudibus, consta di 27 capitoli e si divide in due parti. La prima comprende 15 capitoli e tratta il problema didattico, la seconda dal capitolo 16 in poi, presenta due esempi di catechesi biblica. Il valore dell'opera è nella prima parte: in ciò che contiene di aderente al momento storico; per i problemi che pone e che in certo modo risolve; per il senso di modernità che la pervade e fa di questa lettera un documento prezioso anche per la nostra catechesi oggi.
Le opere catechistiche del periodo patristico mettevano l'accento sulla forza spirituale delle verità enunciate e sulle qualità carismatiche dell'insegnante. I grandi modelli di catechesi avevano il maestro come protagonista. Nel De catechizandis rudibus compare per la prima volta, come protagonista, il catechizzando, l'ascoltatore con tutto il carico della sua umanità: pregi e difetti.
I «rudes» a cui si rivolge Agostino
(e di cui parla) sono persone adulte
di Cartagine e di Ippona, diversi
l'uno dall'altro per carattere, per
condizione sociale, per il livello
culturale, per intelligenza, per
buona volontà. Siamo alla fine del
IV secolo quando chi si accosta alla
fede non corre alcun pericolo, per
cui le qualità morali e
intellettuali dei «rudes» sono
straordinariamente varie. Dalla
presentazione di Agostino deriva un
ritratto psicologico che è di una
palpabile evidenza. E i problemi
psicologici e didattici ai quali il
vescovo di Ippona accenna brevemente
meritano grande attenzione per la
sconcertante attualità: rapporto tra
intuizione ed espressione; teoria
del linguaggio; il linguaggio visivo
come fondamentale e prima forma di
espressione; il sentimento come
condizione, ma anche come
limitazione dell'armonia del
discorso; l'ambiente come elemento
che favorisce o disturba il processo
di apprendimento; l'errore
dell'insegnante in rapporto al
prestigio disciplinare; le
condizioni psicologiche del
catechizzando in rapporto
all'attenzione; il «tedio» della
routine quotidiana; la gioia del
donarsi spiritualmente, la carità
come fonte di vita[5].
Il diacono di Cartagine si rivolge
ad Agostino che gode fama di grande
catecheta per chiedergli un metodo
d'insegnamento.
Deogratias non è soddisfatto della
sua catechesi e pensa che non siano
soddisfatti neanche gli ascoltatori,
i suoi catechizzandi. Eppure il
catechista di Cartagine era
preparato per svolgere questo
compito. Lo stesso Agostino loda la
sua «dotta fede e suadente parola» e
negli argomenti che riguardano
l'istruzione ai «principianti» lo
ritiene «preparato» e «agguerrito».
La fondamentale preoccupazione di
Deogratias è la mancanza di gioia ed
è per questo che si rivolge al suo
amico Agostino. È questa la prima testimonianza di una preoccupazione del genere nella storia dell'insegnamento cristiano[6]. Ma all'insoddisfazione e al tedio nel fare la catechesi non si pone rimedio ricorrendo alla precettistica dell'arte oratoria. Il «tedio» proviene dall'abitudine passiva, dalla forma, dalle cose. Per Agostino la vivezza e la gioia provengono dalla ricchezza interiore, dalla carità.
La carità si presenta nel De catechizandis rudibus come condizione fondamentale e indispensabile perché il processo di apprendimento si realizzi con gioia; come fine a cui tutta la formazione, oggetto dell'insegnamento, deve tendere; come fondamento della relazione catechista-catechizzando. Ed è in questa ottica che cercherò di rileggere l'opera. |
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1. La carità come condizione
fondamentale e indispensabile perché
il processo di apprendimento si
realizzi con gioia
Il vescovo Agostino risponde alla
lettera di Deogratias che desidera
progredire nella sua opera di
edificazione della comunità
cristiana con questi sentimenti: «E
io veramente, quando grazie alla
generosità del Nostro Signore posso
offrire qualcosa con l'opera mia e
quando il Signore stesso mi comanda
di aiutare coloro che ha fatto miei
fratelli, sono spinto da quella
carità e sottomissione che debbo non
solo a te, ma alla nostra Madre
Chiesa in generale, a non rifiutare
in alcun modo l'aiuto, ma anzi a
darlo con volontà pronta e devota» (DCR
I, II). Il catechista della Chiesa
di Cartagine sarà aiutato a
riflettere sul metodo da seguire nel
fare la catechesi ai «principianti»,
sull'arte di insegnare e di
esortare, ma principalmente sul modo
di ottenere la gioia, che è il
principale problema. «Confessi e ti
lamenti che molte volte durante un
lungo e tepido discorso ti sia
accaduto di rimanere insoddisfatto e
colto da fastidio tu stesso oltre
che la persona che istruivi e coloro
che stavano ad ascoltare. E da tale
necessità sei stato costretto a
sollecitare me che non mi sia grave,
tra le mie preoccupazioni, scriverti
qualcosa sull'argomento» (DCR 1, I).
L'insoddisfazione del catechista, il
fastidio di chi ascolta, la
catechesi che diventa «lungo e
tepido discorso», sono questi segni
di passività e di mancanza di calore
sia nell'inse-gnare sia
nell'apprendere. E il vescovo
Agostino afferma: «E veramente
veniamo ascoltati più volentieri
quando anche noi ci dilettiamo della
nostra opera di ammaestramento,
perché il nostro eloquio vibra della
medesima nostra gioia e riesce più
facile e persuasivo» (DCR 2, IV).
Per Agostino la fonte di ogni
processo di apprendimento e di
ammaestramento sta nell'amore, nel
«diletto». L'amore è la fonte, il
calore che rendono sempre gioiosi
l'insegnare e l'apprendere.
Conseguentemente bisogna scoprire
quali siano le cause accidentali per
cui questa fonte in un dato momento
si chiude, la verità diventa formula
e il calore del sentimento si
raffredda nella convenzionalità
dell'eloquio. Per cui per il vescovo
di Ippona «non è perciò difficile la
questione del modo di insegnare ciò
che è materia di fede e neppure la
questione dove debba incominciare e
dove finire l'esposizione... Quel
che occorre soprattutto vedere è
come ciò debba essere fatto con
gioia. Quanto più infatti sarà
gioioso in lui tanto più riuscirà
gradito agli ascoltatori. E su
questo argomento il precetto del
Signore è davvero chiaro. Se infatti
Dio ama chi dona con gioia le
ricchezze materiali, a maggior
ragione ama il donatore di ricchezze
spirituali» (DCR 2, IV).
La gioia viene dall'amore,
dall'amore che Dio ha per noi e
dall'amore che noi nutriamo per
coloro che istruiamo. La gioia è
inseparabile dall'amore e l'amore è
la fonte inesauribile dell'opera
catechistica. È per l'amore che il
catechista si farà capace di
allontanare le «ombre del tedio», di
eliminare le cause della sua
«scontentezza ulteriore». Per
suscitare la gioia negli altri il
catechista non può non essere
gioioso lui stesso.
Deogratias attribuisce la mancanza
di gioia al fatto che molte volte
gli è parso di fare un discorso
«terra terra e noioso, indegno di
essere ascoltato da altri».
Ma Agostino che conosce bene
Deogratias gli assicura «che ciò
accade non tanto per povertà di
argomenti, nei quali ti so preparato
e agguerrito o per la povertà del
tuo eloquio, quanto per una
scontentezza inte-riore» (DCR 10,
XIV). Scontentezza che può avere
tante cause, dalla ragione di cui
Agostino ha già parlato, al fatto
che preferiremmo ascoltare e leggere
discorsi che son detti e scritti
meglio da altri e senza nostra
fatica, piuttosto che improvvisare
parole adatte alla capacità
dell'uditorio; dall'impassibilità al
dolore per uno scandalo; dall'aver
interrotto un lavoro che ci piaceva
portare a termine... «Per cui con
animo già turbato affrontiamo
un'opera che richiede grande
serenità. E così il nostro discorso,
nato dalla medesima tristezza,
riesce meno piacevole, perché
dall'animo addolorato non fluisce
copioso» (DCR 10, XIV). Agostino
dopo aver aiutato Deogratias con
grande sensibilità e grande
comprensione in questa analisi
afferma «qualunque sia la causa che
turba la nostra serenità d'animo,
noi dobbiamo, con l'aiuto di Dio,
cercare i rimedi» (ibidem). Chi ama non può restare a guardare le proprie sofferenze e restare a crogiolarsi in esse. L'amore deve prevalere su tutto. La catechesi è un atto di amore. «Dissipate le ombre del tedio, lo spirito è pronto a catechizzare sì da accogliere con diletto ciò che con sollecitudine e gioia prorompe dalle fonti della carità, la quale è stata diffusa nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci è stato donato» (DCR 14, XII). |
Note [1] La traduzione alla quale mi riferisco è quella di A. Mura, S. Agostino. De catechizandis rudibus, La Scuola, Brescia 1971. [2] Cf. G. Combès et M. Farges, De catechizandis rudibus in Oeuvres de S. Augustin. XI le magistère chretièn, Desclèe, Paris 1944 (introduzione). [3] Per Agostino i rudes che si accostano alla Chiesa per istruirsi sono aspiranti a far parte della famiglia cristiana. S. Cipriano li chiama «venientes» e Tertulliano «accedentes». [4] Cf. A. Mura, S. Agostino, De catechizandis rudibus, o. e. (introduzione). [5] Ibidem. [6] Ibidem. |
Sr. Giuseppina Battista, suora Pastorella, docente di Storia della Catechesi e di Teologia dell’educazione nell’Istituto di Pastorale “Redemptor Hominis” della Pontificia Università Lateranense, e di Catechesi alla Facoltà di Missiologia della Pontificia Università Gregoriana, Roma. |